Il problema «etico» : tra difesa dell’«integrità dell’embrione» e «autodeterminazione gestazionale».
L’«etica» e il «diritto» sono mezzi e parametri di «garanzia» e «giustizia» nella tutela della difesa del diritto alla Vita e dell’integrità della dignità della persona.
In tali vesti, essi vengono richiamati relativamente alla spinosa e complessa questione relativa all’aborto farmacologico, recentemente nuovamente sollevatasi a seguito di un intervento legislativo di delicata comprensione etica, sociale e giuridica, presentandosi quali strumenti di tutela dell’«integrità dell’embrione» e dell’esercizio libero dell’«autodeterminazione gestazionale».
È notoria l’annosa questione concernente la difesa dell’«integrità dell’embrione» nella salvaguardia del diritto alla Vita e dello sviluppo cellulare del futuro nascituro, quanto la tutela dell’integrità «etica» nell’esercizio libero dell’«autodeterminazione gestazionale» da parte delle future mamme.
La difesa dell’«embrione» salvaguarda il diritto naturale all’esistenza del feto; quest’ultimo, altresì nel suo iniziale stato «embrionale», non è certamente considerabile quale mero manufatto scientifico, bensì quale forma compiuta di «Vita» umana oggetto di un proprio ed esclusivo sviluppo fisico e psichico-cerebrale salvaguardardabile giuridicamente.
L’«autodeterminazione gestazionale», è un riconosciuto «diritto», legato alla persona, esercitabile dalle potenziali neomamme, che non può aver luogo oltrepassando i ragionevoli vincoli giuridici esistenti quanto le rilevanti limitazioni «etiche» a essa attribuibili.
Consiste, sostanzialmente, nella riconosciuta indipendenza e piena libertà delle future mamme nell’esercitare l’interruzione volontaria della propria gravidanza.
I «punti salienti» della «circolare ministeriale» n. 75683_1(1) relativa alla «Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine».
Il 12 agosto 2020, la circolare ministeriale n. 75683_1(1), si è pronunciata nell’aggiornamento delle «Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine» risalenti al 2010 congiuntamente alla Determina n. 865 dello stesso 12 agosto 2020 dell’Agenzia Italiana del Farmaco.
I punti salienti del documento sono i seguenti:
a)ricorso al metodo farmacologico «…fino a 63 giorni pari a 9 settimane compiute di età gestazionale»;
b)ricorso a strutture ambulatoriali pubbliche adeguatamente attrezzate, collegate alle strutture ospedaliere e autorizzate dalla Regione di competenza; consultori; day hospital;
c)l’assunzione del Mifegyne a base di mifepristone (o RU486) in assenza di ricovero assistenziale;
d)l’estensione dell’assunzione del Mifegyne dal 49° al 63° giorno di amenorrea da effettuarsi in concomitanza di assunzione di una prostaglandine in costanza di raccomandato monitoraggio medico.
L’autorizzazione all’impiego del mifepristone è avvenuta in Italia nel luglio del 2009; una tale procedura farmacologica di interruzione volontaria di gravidanza (IGV) è definibile: «aborto medico».
Conclusioni.
L’aborto farmacologico (o aborto medico) crea certamente dei possibili punti di domanda relativamente alla tutela dell’«integrità dell’embrione» e dell’esercizio libero dell’«autodeterminazione gestazionale».
Attualmente, sia giuridicamente quanto medicalmente, non sussistono scelte preclusive alla limitazione di una tale pratica medicamentale, che va a coinvolgere altresì la preclusione dell’esercizio dell’obiezione di coscienza da parte degli stessi operatori medici, poiché vede essenzialmente protagonista in ciò l’«autodeterminazione gestazionale» delle potenziali mamme.
In quale modo il «diritto», nel rispondere attraverso tali disposizioni regolamentari, ad un’istanza che caratterizzi lo sviluppo evolutivo della salute delle donne attraverso la delicata questione della maternità, può effettivamente decretarne la tutela della salute di quest’ultime e accompagnarle nello status evolutivo di se stesse a livello «giuridico» e «umano»?
E quanto, i «diritti» associabili allo «status embrionale della vita», possono restare eticamente disgiunti dalla tutela di una potenziale e germinale «autodeterminazione gestionale»?
Sono domande possibili ma ancora in attesa di probabili risposte.
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