Premessa
L’articolo 2 della Costituzione sancisce che :
«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.».
Ciò implica significativamente, che ciascun «cittadino» di questa «Repubblica» ha il dovere «inderogabile» e «democratico» di solidarietà, ovvero di unione, accordo, sostegno, consenso, fratellanza e partecipazione di natura «personale», da esprimersi oggettivamente e soggettivamente, quale singolo e/o nelle «formazioni sociali di appartenenza», ove egli esplica una presuntivo «esercizio» di «sviluppo umano», segnatamente a un accertamento giuridico di una singolare personalità politica, economica e sociale.
Un diritto/dovere di rilievo, che trova, inter alia, precipuo riconoscimento all’interno dell’istituto giuridico del «matrimonio».
Il codice civile interviene sancendo la «normatività» di questo «istituto», complementariamente a quanto novellato dal Concordato risalente al 1929, con il quale venivano a decretarsi gli «effetti civili» del «matrimonio canonico», comprovati poi nuovamente il 18 febbraio 1984, attraverso l’Accordo di revisione di Villa Madama, ratificato con legge 25 marzo 1985, n. 121.
Tuttavia, come noto, non si è così dato origine a un nuovo istituto matrimoniale, bensì si è inteso attribuire, sottoforma di un c.d. «regime di integrazione», «effetti civili» al matrimonio canonico (ovvero alla celebrazione prettamente religiosa), consentendone al medesimo, in ogni caso, un’esistenza parallela a deferenza di quello prettamente «civile», anche se da quest’ultimo manifestamente distinto. Di fatto, non sono gli «effetti canonici» del matrimonio ad avere rilevanza per lo Stato, bensì quelli di natura prettamente «civilistica».
L’articolo 29 della Costituzione italiana si vincola sull’argomento, qualificandone l’oggetto normativo e la responsabilità «sociale», intervenendo a favore di quest’ultima, e argomentandone sostanzialmente una intimistica qualità di «genere etico-sociale», estensibile in maniera vincolante, quanto funzionalmente imperativa, all’originarsi di tutele di ordine civile e penale, in assunto di vincolo matrimoniale.
Nella fattispecie, l’articolo 29 della Costituzione interviene suggellando che :
«La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.».
Essenzialmente, si addiviene a una commistione di tutela di «diritti della persona», uti singuli, nel rispetto della c.d. «coniugio matrimoniale»; e «uti universi», ovvero coerentemente al «nucleo» familiare così costituentesi quanto collettivamente inteso. Una sinossi giuridica di diritto materiale e di sostanza eminentemente costituzionale, complementare a quanto primariamente disposto dalla stessa Costituzione attraverso il corpus iuris del su citato articolo 2.
Illeicità «dolosa» come elemento sostanziale di «nullità».
La pronuncia n. 19809 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione civile, risalente al 18 luglio 2008, sentenziò che una volontà viziata ab origine a cura di uno dei due nubendi che hanno contratto matrimonio secondo le leggi di diritto interno dello Stato italiano, e conformemente a quelle del diritto canonico, incide sull’istituto matrimoniale civile e religioso incorrendo nella c.d. nullità di «status».
Invero, in tale citata sentenza, entrano in giuridica contrapposizione quanto di complementare liceità giuridica, la giurisdizione del foro ecclesiastico e la giurisdizione del foro civile dello Stato italiano. In punta di diritto, l’accento giuridico viene posto sul tenore dell’«effettività» giuridica di una sentenza accertatasi internamente a un foro propriamente ecclesiastico, e di come tale stessa «effettività» possa altresì incanalarsi attraverso un suo concreto quanto giuridico innesto, internamente al foro giurisdizionale civile italiano, in relazione alle conseguenze giuridicamente rinvenibili in caso di «dolo», in conformità delle rispettive concezioni individualmente previste nei disciplinari legislativi legati a tali stessi «ordinamenti».
La presunzione di «nullità», per «dolo», secondo tale sentenza, segnatamente a tali su citati «ordinamenti giuridici», può far convergere o divergere questi ultimi sull’argomento.
L’articolo 1439 del c.c. dell’ordinamento interno dello Stato italiano, sottolinea nel suo comma 1, essenzialmente che:
«Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe contrattato.».
Il «dolo» ravvisabile internamente al rapporto di «coniugio matrimoniale», interviene in termini di responsabilità contrattuale ai sensi del citato articolo 1439 del codice civile, simmetricamente ad una c.d. «soggettività antigiuridica dolosa».
Una soggettività antigiuridica di specie, che in maniera incidentale, si sostanzi in effetti imperativi di natura civile, quanto di plausibile natura penale.
Notoriamente, si discute di genesi del dolo penale allorquando sussiste «la coscienza di contravvenire liberamente a ciò che la legge vieta e comanda»; il dolo di natura civile, in termini certamente non contrastivi a quest’ultimo, secondo la stessa dottrina, si sostanzia invece, in «qualunque artificio per trarre altrui in inganno nocivo al suo giusto interesse».
Invero, la su citata dottrina informa a riguardo di un «dolo» che strumentalmente vada configurandosi come «non verità», come un «non bene» arrecato al soggetto passivo di tale illeicità sopraggiunta, laddove «verità» e «bene» sono compiuta condizione di perfezionamento e completamento dell’unicità della personalità umana morale, fisica, collettiva o individuale; ovvero di una sostanziale e primaria manifestazione della persona umana, che nella sua innata e istintiva connaturata naturalità, rimane offesa dal dolo e conseguenzialmente ritiene di attivarsi in debita risposta a ciò, attraverso corrispondenti azioni di salvaguardia e di tutela di se stessa.
Come noto, l’azione dolosa crea incertezza negoziale ai sensi dell’articolo 1322 del c.c. in materia di autonomia negoziale; una presupposta sanzionabilità ai sensi dell’articolo 1324 del c.c. in materia di atti unilaterali giuridicamente stimabili; dell’articolo 1325 del c.c., proporzionatamente ai requisiti oggettivi del contratto, con rilievo da porre in relazione all’elemento dell’accordo delle parti e dell’oggetto stesso del contratto matrimoniale; dell’articolo 1418 del c.c. in riferimento alle cause di nullità del contratto; e dell’ articolo 1421 in ordine alla presupposta legittimazione dell’azione di nullità.
Un’illeicità dolosa quale quella in oggetto, è potenzialmente rinvenibile, inter alia, nel «dolus malus», nel dolo «incidente» o nel dolo «determinante».
Si incorre nel dolus malus distinguendolo dal dolus bonus, qualora sussista una divergenza più o meno apprezzabile nell’entità instauratasi fra volontà ipotetica e volontà dichiarante di intenzionalità fraudolenta o di actio nobilis coercitiva.
Nella fattispecie, il dolus malus può intervenire in maniera congiunta al c.d. dolus determinante o dolus causam dans, nella misura del quale sussista una sistematica sofisticazione interposta tra la volontà ipotetica e la mera dichiarazione; e con il dolo incidente o dolus incidens, nella misura del quale venga adulterato il «processo formativo della volizione di un soggetto» senza alcuna determinazione soggettiva o oggettiva sul consenso.
La sentenza n. 20792 del 27.10.2004, della Corte di Cassazione civile, interviene a tal proposito radicalizzando la natura del dolus malus nel corpus iuris dell’articolo 1429 del codice civile ovvero in materia di «errore essenziale», e nel suo relativo disciplinare codicistico. La dottrina non concorda su questa pronuncia definendola discordante su quanto effettivamente rilevabile in fatto e in diritto, in materia di incidenza meramente prescrittiva e probatoria del dolus malus in termini di dolo incidente e di dolo determinante.
Quale l’«effettività» di una possibile «nullità» matrimoniale secondo l’ordinamento giuridico «civile» dello Stato italiano?
Ai sensi della regolamentazione codicistica di diritto civile caratterizzante l’ordinamento giuridico italiano, tra le cause di nullità dell’autonomia negoziale vige il contrasto con norme imperative o l’illiceità della causa perché contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
Nell’ambito di un’eventuale risoluzione contrattuale, da accogliersi per declaratoria di impugnativa in ordine all’illeicità dolosa del rapporto di coniugio, come in oggetto di trattazione, il giudice a quo, rileverà d’ufficio la nullità totale, incidenter tantum, altresì su inespressa istanza di accertamento da parte del soggetto passivo del negozio viziato.
Di fatto e in diritto, la nullità negoziale così accertata, sarà sentenziata invero, in ordine all’articolo 1424 del codice civile, quale vincolo condizionale espresso di reticenza giuridica avversa alla consequenziale riconversione del suddetto negozio in un atteso diverso contratto.
LEAVE A COMMENT