Premessa
La «Terza Sezione Civile» della «Suprema Corte di Cassazione», si è pronunciata con sentenza n. 8459, risalente al 16 maggio 2019, e al 5 maggio 2020, in materia di «accertamento di paternità naturale», per ricorso n. 28839/2017, proposto in contrapposizione dei termini caratterizzanti la pronuncia di legittimità n. 2014/2017 della Corte d’Appello di Venezia depositata il 28/11/2017.
Tale sentenza si esprime rigettando il ricorso in Appello del ricorrente, relativamente alle procedure impiegate nell’«accertamento dello status di figlio naturale», oltre che per la richiesta da parte del medesimo della «…condanna al risarcimento danni per doloso occultamento della procreazione con conseguente ingiusta privazione per il padre del rapporto di filiazione.», ai sensi dell’articolo 2043 del c.c. .
Sostanzialmente il ricorrente solleva un’eccezione di nullità a riguardo della violazione degli articoli 11 e 16 del D.Lgs. n. 196/2003 in materia di privacy, in relazione all’impiego di «dati personali sensibili» nella qualità di campioni di sostanze biologiche, e dei relativi dati generici da esse ricavati con deferita delega, anch’essa di fatto e in diritto contestata dal ricorrente, con inerenza all’espletamento dell’incarico conferito al CTU, poi posposto agli specialisti e ai tecnici di laboratorio.
Sostanza «giuridica» della «violazione denunciata».
La sentenza 16 maggio 2019/5 maggio 2020, n. 8459, nella sostanza della violazione denunciata dal ricorrente, ritiene essenzialmente infondati i motivi precedentemente esposti con inerenza alla immotivata quanto infondata eccezione di «nullità», di fatto e in diritto, dal ricorrente sollevata, il quale esibisce ricorso per Cassazione altresì ai sensi dell’articolo 13 della Costituzione, dell’articolo 8 della CEDU, dell’articolo 16 del TFUE, dell’articolo 8 del CDFUE, dell’articolo 191 del c.p.p.; e per «indagini svolte da soggetti diversi dall’ausiliario incaricato dal Giudice e non avendo il CTU presenziato alle operazioni peritali», ai sensi dell’articolo 62 e dell’articolo 194 del c.p.p.
Il rilievo «giuridico» della «pronuncia» e le conclusioni della «Suprema Corte».
L’illegittimità della richiesta inoltrata da parte del ricorrente, viene sentenziata dalla Suprema Corte in ordine alla sua pronunzia n. 8459 del 2019/2020.
Quest’ultima può riassumersi nei seguenti punti secondo cui:
- Non sussiste violazione in fatto e in diritto degli articoli 11 e 16 del D.Lgs. n. 196/2003 in materia di privacy, in conformità con quanto dalla stessa Suprema Corte deciso in sessione congiunta, e in maniera pregressa, con Sentenza n. 3034 del 08/02/2011, secondo cui non difetta di legittimità processuale l’impiego di tali dati, qualora tali stessi dati vengano impiegati, raccolti e gestiti nell’ambito di un processo, poiché la titolarità del trattamento spetta in tale caso specificatamente all’autorità giudiziaria, così come precisato letteralmente dalla stessa Corte;
- Secondo la stessa Sentenza n. 8459, e sempre secondo quanto specificato dalla Corte, l’assunto difensivo riguardante vetrini e campioni biologici, che nello specifico avrebbero dovuto essere distrutti alla data di cessazione del trattamento, e non essere ceduti alle strutture ospedaliere sanitarie, anch’esso risulta infondato, poiché secondo il Codice della privacy, e ai sensi dell’ articolo 16 medesimo su citato, a seguito della cessazione del trattamento i dati vengono «distrutti»; o «ceduti ad altro titolare» in termini di trattamenti che siano compatibili con gli scopi che hanno dato luogo alla raccolta dei dati; o «conservati», «…per fini esclusivamente personali e non destinati ad una comunicazione sistematica o alla diffusione»; «conservati o ceduti», «ad altro titolare, per scopi storici, statistici o scientifici, in conformità alla legge, ai regolamenti, alla normativa comunitaria e ai codici di deontologia…»;
- Inerentemente alla presupposta deferita delega, anch’essa di fatto e in diritto contestata dal ricorrente, con inerenza all’espletamento dell’incarico conferito al CTU, e poi espletata da specialisti e tecnici di laboratorio, la Corte stabilisce che in fatto e in diritto non si realizzino presupposti requisiti di inammissibilità peritale di comportamento;
- In termini poi, di risarcimento a seguito di «illecito occultamento dell’esistenza di un figlio», con pregiudizio del c.d. «diritto alla genitorialità» sottratto al padre naturale del ricorrente, la Corte si esprime altresì con esito negativo, poiché l’illecito contrattuale presupposto dal quadro normativo dell’articolo 2043 del c.c., non sussiste.
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